Archivi categoria: (Ri)letture

Köpenickerstrasse

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In quel dicembre a Berlino, nella tua casa di Köpenickerstrasse io volevo tutto. Ma era tutto, o solo qualcosa, o forse niente? Io volevo tutto e mi sono sempre dovuto accontentare di qualcosa.

Pier Vittorio Tondelli, Biglietti agli amici, Bompiani 2018

Chiama le cose

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Se adesso cominciasse a piovere ti bagneresti, se questa notte farà freddo la tua gola ne soffrirà, se torni indietro nel buio dovrai farti coraggio, se continui a vagare sarai sempre più sfatto. Ogni fenomeno è in sé sereno. Chiama le cose perché restino con te fino all’ultimo.

Gianni Celati, Verso la foce, Feltrinelli 1989

I segreti

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Come rimanere sordo al richiamo di un segreto? I segreti chiamano, ed è crudele non dare ascolto alle loro voci dolenti e bramose di eco. I segreti mi chiamano. È per i loro segreti che io amo gli uomini, non per le loro virtù né per le loro gesta.

Alberto Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, Adelphi 1984

Bottiglia

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1942. Ogni uomo è il signore, a bordo, dopo Dio. Ogni uomo è il prigioniero in fondo alla stiva. E nave e insieme marinaio. Oceani vuoti, coste abbandonate per sempre o mai raggiunte, fari, naufragi, bottiglie a mare: eccoci tornati ai tempi in cui le metafore riacquistano valore e sostanza di cose; di nuovo si misurano in miglia marine e terrestri, in unità di spazio o di pericolo. E se la bottiglia, con una chioma d’alghe, danza per sempre sul mare senza che nessuno la scorga, la ripeschi e la salvi, avrai almeno fatto galleggiare un fragile oggetto umano sulla superficie delle onde.

Marguerite Yourcenar, Pellegrina e straniera, trad. di Elena Giovanelli, Einaudi 2008

Contrastatissimo amore

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Donde ad ogni modo che la vita prende più deciso contorno e forza proprio dai suoi più accaniti spregiatori. Son essi invero che più la interrogano, e l’incalzare delle loro domande (sebbene folli al postutto e senza visibile oggetto) è la misura non tanto del loro abborrimento, quanto di un loro contrastatissimo amore.

Tommaso Landolfi, Des mois, Adelphi 2016

Case

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“Sì,” disse l’assistente, “la casa oggi è un luogo essenzialmente gaio. Per lavorare e studiare abbiamo scuole e uffici. Per ammalarsi, isolarsi, partorire e morire abbiamo le cliniche. Sono incidenti che turbano la vita sociale. Per questo noi ci sforziamo di fare le nostre case come piccoli bar, night-club, cinema, ristoranti, stazioni di servizio e boutiques. E le coloriamo vivacemente”.
“Io vorrei due stanze che fossero vuote,” disse il giovane, pensieroso. “Due stanze con armadi e vecchi bauli, dove non dorma nessuno. Sono nato in una casa dove c’erano due stanze vuote. Ci giocavo. Sugli armadi d’inverno mettevamo le mele. Non so, forse non riesco a spiegarmi”.
“Lei può prendere un appartamento più grande” suggerì l’assistente.
“Ci vorrei anche i nonni, una zia che non ha trovato marito e i due bambini di una sorella morta. Vorrei una casa vera”.
“Mi dispiace proprio” disse l’assistente. “Non ne abbiamo”.

Ennio Flaiano, Le ombre bianche, Adelphi 2004

Il primo albero

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Nelle limpide giornate di ottobre, venendo dalla Radetzkystrasse si può vedere, accanto allo Stadttheater, un gruppo di alberi nel sole. Il primo albero, che si erge davanti a quei ciliegi rosso cupo che non danno frutti, è così fiammeggiante di colori autunnali, è una macchia d’oro così smisurata da sembrare una fiaccola lasciata cadere da un angelo. E ora che arde, né il vento d’autunno né il gelo riusciranno a spegnerlo.
Chi mai vorrà parlarmi di foglie che cadono e di morte bianca di fronte a quest’albero, chi impedirmi di conservarne l’immagine negli occhi e di credere che per me continuerà a risplendere per sempre come in quest’ora e che su di esso non grava la legge del mondo?

Ingeborg Bachmann, “Giovinezza in una città austriaca”, in Il trentesimo anno, trad. di Magda Olivetti, Adelphi 2006

Oro e ciarpame

Rastello - Piove rist._Varianti

Igor dice che la città è di pietra. Non cemento, mattoni e calce, proprio pietra: quarzo, e la puddinga che si regge da sola anche quando è cava, un geode che sotto le case nasconde volte naturali, incrollabili. Igor è il mio maestro di città, e di notte dice che Torino è un libro, scritto nei cornicioni, dentro i portoni, sui fregi dei cortili: basterebbe capirne la lingua. Conosce i passaggi che uniscono le case attraverso le cantine, mi fa vedere uno strano panoptikon all’angolo di una corte di via Verdi, vetri accecati e bracci di caserme che non ci sono più.
Ci perdiamo, al ritorno dalle notti del cinema Roma, costruendo il nostro libro. Deve esserci un segreto fra le pietre, sotto il piano della strada, una buona ragione per aprire un tombino e scendere. Parlano le strade, il reticolo intero delle vie diritte allude a una sostanza diversa, i segni sono dappertutto, su pareti e cornici, dentro le aiuole, sui lampioni, e se cerchi trovi e se fatichi impari, sciogli e raccogli, aggiustando. Continua a leggere

Quadri e cavalli

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Uno che telefonava ai vicini per dire che dalla sua finestra vedeva un quadro storto e per favore di drizzarlo, se no non riusciva a dormire.

Una volta un cavallo in piazza Carlo Alberto si era fatto abbracciare da un tedesco.

 

A cura di Paolo Nori, Repertorio dei matti della città di Torino, Marcos y Marcos 2015

Voglio vedere tutto

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Due settimane prima di Natale Ellen mi chiamò e mi disse: “Faith, sto morendo”.
“La vita non è poi ‘sto granché, Ellen”, dissi. “Abbiamo avuto solo giornate da schifo e uomini da schifo e niente soldi e sempre al verde e scarafaggi e niente da fare la domenica se non portare i bambini a Central Park a remare su quel laghetto lurido. Che c’è di tanto bello, Ellen? Dov’è ‘sta gran perdita? Vivi un altro paio d’anni. Vedrai i bambini e tutto questo schifo di posto, tutti i buchi in questo groviera di mondo inceneriti dall’onda di calore delle bombe atomiche…”
“Voglio vedere tutto,” disse Ellen.

Grace Paley, Tutti i racconti, trad. di Isabella Zani, Sur 2018

Lampade

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E se vuole sapere qualcosa di più sull’uomo, ricordi che all’ultimo momento, quando sembra di vedere, capire tutto, le lampade più perfette si spengono.

Anna Maria Ortese, Alonso e i visionari, Adelphi 2017

Complessità

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Una rosea luce composita mi invade la cucina alla fine di queste giornate allungate di giugno. Dall’esplosione avvenuta otto minuti fa su una stella vicina, la luce saetta nello spazio, un’onda di particelle, colpisce il pianeta, taglia il continente e penetra in una maglia di polvere di terra: pulviscoli di argilla, frammenti di zolla erbosa, minuscoli insetti sospinti dal vento, batteri, brandelli di ali e zampe, polvere di ghiaia, granelli di carbone e cellule secche di erba, corteccia e foglie. Divenuta rossa, la luce si china in questa valle sulle verdi montagne a ovest: s’insinua tra aghi di pino sui pendii settentrionali, e tra querce del Maryland e biancospini, le cui foglie si stanno schiudendo, una dopo l’altra, e creando una bruma dalla loro trama intricata, seghettata e lobata. Continua a leggere

Gli oggetti

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Di molti dei miei oggetti non ricordo la provenienza. Sembra quasi che ci siano sempre stati o che siano apparsi da soli. Questo gli conferisce una certa dignità ed è molto difficile prendere iniziative o intervenire. […] Ma perché questi mobili, quasi impauriti di occupare interamente una stanza, si ritrovano schiacciati contro una parete o messi agli angoli? Chi ce li ha messi? Io. E perché non li sposto? Perché non oso. Ricordo una volta che, presa da ottimismo innovativo, da un sognante fervore che immaginava rivoluzioni e migliorie, spostai il tavolo e lo misi tra le due finestre, mentre la poltrona la sistemai con lo schienale al tavolo, fronteggiando il letto, e creando così una certa intimità in quello spazio altrimenti fuori sesto. Ma non so come, presa da rimorsi e nostalgie, vedendo in quello spostamento qualche nuova rovina, paurosa di perdere il filo dei pensieri e i sentimenti che si erano formati in quello spazio, se i miei occhi si fossero posati su un diverso paesaggio, sentendo l’ignominia dell’ingratitudine, rimisi quasi subito tutto com’era.

Patrizia Cavalli, Con passi giapponesi, Einaudi 2019

Chi non si guarda indietro

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Per tre volte superò qualcosa che la incuriosiva e dovette tornare indietro finché non scompariva dalla sua visuale. Annette non aveva mai avuto problemi a guardarsi intorno per strada e a voltarsi indietro. Suo padre le aveva detto che era infantile e la signorina Walpole che era indecoroso. Ma suo fratello Nicholas, che Annette ammirava più di chiunque altro al mondo, aveva detto: «Chi non si guarda indietro si perde sempre qualcosa». E non c’era nulla che lei e suo fratello temessero tanto quanto perdersi qualcosa. Suo padre si era fatto una risata e aveva citato Orfeo e la moglie di Lot. «Io mi sarei guardata indietro se fossi stata al loro posto» aveva detto Annette. «Le cose più interessanti succedono sempre alle spalle.»

Iris Murdoch, L’incantatore, trad. di Gioia Guerzoni, Il Saggiatore 2014

Una ghirlanda di fiori fantasma

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Perché c’erano tantissime cose da ricordare, ed era essenziale che lei le ricordasse, per possedere un’ultima volta il passato. […]
Ti rivedrò mai, Sukey, Sukey Bond? Forse quando Sukey Seaborn fosse stata vecchia, seduta al sole o china fra i suoi cespugli di lamponi e uva spina, Sukey Bond sarebbe tornata, l’ultima, la più vera, la più pietosa dei suoi figli, ignara del tempo trascorso, con i vestiti fuori moda e l’immacolata giovinezza, per offrirle, assorta, quelle offuscate gioie, quegli offuscati dolori, e sogni e ansie, come una ghirlanda di fiori fantasma scoloriti dagli anni in un turbinio di atomi, che solo fra la sue mani e sotto il suo sguardo leale conservavano i loro vividi colori. Continua a leggere