Igor dice che la città è di pietra. Non cemento, mattoni e calce, proprio pietra: quarzo, e la puddinga che si regge da sola anche quando è cava, un geode che sotto le case nasconde volte naturali, incrollabili. Igor è il mio maestro di città, e di notte dice che Torino è un libro, scritto nei cornicioni, dentro i portoni, sui fregi dei cortili: basterebbe capirne la lingua. Conosce i passaggi che uniscono le case attraverso le cantine, mi fa vedere uno strano panoptikon all’angolo di una corte di via Verdi, vetri accecati e bracci di caserme che non ci sono più.
Ci perdiamo, al ritorno dalle notti del cinema Roma, costruendo il nostro libro. Deve esserci un segreto fra le pietre, sotto il piano della strada, una buona ragione per aprire un tombino e scendere. Parlano le strade, il reticolo intero delle vie diritte allude a una sostanza diversa, i segni sono dappertutto, su pareti e cornici, dentro le aiuole, sui lampioni, e se cerchi trovi e se fatichi impari, sciogli e raccogli, aggiustando. Continua a leggere
Archivio dell'autore: Marta Barone
Quadri e cavalli
Uno che telefonava ai vicini per dire che dalla sua finestra vedeva un quadro storto e per favore di drizzarlo, se no non riusciva a dormire.
Una volta un cavallo in piazza Carlo Alberto si era fatto abbracciare da un tedesco.
A cura di Paolo Nori, Repertorio dei matti della città di Torino, Marcos y Marcos 2015
Voglio vedere tutto
Due settimane prima di Natale Ellen mi chiamò e mi disse: “Faith, sto morendo”.
“La vita non è poi ‘sto granché, Ellen”, dissi. “Abbiamo avuto solo giornate da schifo e uomini da schifo e niente soldi e sempre al verde e scarafaggi e niente da fare la domenica se non portare i bambini a Central Park a remare su quel laghetto lurido. Che c’è di tanto bello, Ellen? Dov’è ‘sta gran perdita? Vivi un altro paio d’anni. Vedrai i bambini e tutto questo schifo di posto, tutti i buchi in questo groviera di mondo inceneriti dall’onda di calore delle bombe atomiche…”
“Voglio vedere tutto,” disse Ellen.
Grace Paley, Tutti i racconti, trad. di Isabella Zani, Sur 2018
Lampade
E se vuole sapere qualcosa di più sull’uomo, ricordi che all’ultimo momento, quando sembra di vedere, capire tutto, le lampade più perfette si spengono.
Anna Maria Ortese, Alonso e i visionari, Adelphi 2017
Complessità
Una rosea luce composita mi invade la cucina alla fine di queste giornate allungate di giugno. Dall’esplosione avvenuta otto minuti fa su una stella vicina, la luce saetta nello spazio, un’onda di particelle, colpisce il pianeta, taglia il continente e penetra in una maglia di polvere di terra: pulviscoli di argilla, frammenti di zolla erbosa, minuscoli insetti sospinti dal vento, batteri, brandelli di ali e zampe, polvere di ghiaia, granelli di carbone e cellule secche di erba, corteccia e foglie. Divenuta rossa, la luce si china in questa valle sulle verdi montagne a ovest: s’insinua tra aghi di pino sui pendii settentrionali, e tra querce del Maryland e biancospini, le cui foglie si stanno schiudendo, una dopo l’altra, e creando una bruma dalla loro trama intricata, seghettata e lobata. Continua a leggere
Gli oggetti
Di molti dei miei oggetti non ricordo la provenienza. Sembra quasi che ci siano sempre stati o che siano apparsi da soli. Questo gli conferisce una certa dignità ed è molto difficile prendere iniziative o intervenire. […] Ma perché questi mobili, quasi impauriti di occupare interamente una stanza, si ritrovano schiacciati contro una parete o messi agli angoli? Chi ce li ha messi? Io. E perché non li sposto? Perché non oso. Ricordo una volta che, presa da ottimismo innovativo, da un sognante fervore che immaginava rivoluzioni e migliorie, spostai il tavolo e lo misi tra le due finestre, mentre la poltrona la sistemai con lo schienale al tavolo, fronteggiando il letto, e creando così una certa intimità in quello spazio altrimenti fuori sesto. Ma non so come, presa da rimorsi e nostalgie, vedendo in quello spostamento qualche nuova rovina, paurosa di perdere il filo dei pensieri e i sentimenti che si erano formati in quello spazio, se i miei occhi si fossero posati su un diverso paesaggio, sentendo l’ignominia dell’ingratitudine, rimisi quasi subito tutto com’era.
Patrizia Cavalli, Con passi giapponesi, Einaudi 2019
Chi non si guarda indietro
Per tre volte superò qualcosa che la incuriosiva e dovette tornare indietro finché non scompariva dalla sua visuale. Annette non aveva mai avuto problemi a guardarsi intorno per strada e a voltarsi indietro. Suo padre le aveva detto che era infantile e la signorina Walpole che era indecoroso. Ma suo fratello Nicholas, che Annette ammirava più di chiunque altro al mondo, aveva detto: «Chi non si guarda indietro si perde sempre qualcosa». E non c’era nulla che lei e suo fratello temessero tanto quanto perdersi qualcosa. Suo padre si era fatto una risata e aveva citato Orfeo e la moglie di Lot. «Io mi sarei guardata indietro se fossi stata al loro posto» aveva detto Annette. «Le cose più interessanti succedono sempre alle spalle.»
Iris Murdoch, L’incantatore, trad. di Gioia Guerzoni, Il Saggiatore 2014
Una ghirlanda di fiori fantasma
Perché c’erano tantissime cose da ricordare, ed era essenziale che lei le ricordasse, per possedere un’ultima volta il passato. […]
Ti rivedrò mai, Sukey, Sukey Bond? Forse quando Sukey Seaborn fosse stata vecchia, seduta al sole o china fra i suoi cespugli di lamponi e uva spina, Sukey Bond sarebbe tornata, l’ultima, la più vera, la più pietosa dei suoi figli, ignara del tempo trascorso, con i vestiti fuori moda e l’immacolata giovinezza, per offrirle, assorta, quelle offuscate gioie, quegli offuscati dolori, e sogni e ansie, come una ghirlanda di fiori fantasma scoloriti dagli anni in un turbinio di atomi, che solo fra la sue mani e sotto il suo sguardo leale conservavano i loro vividi colori. Continua a leggere
Regni
In Canada, dove ancora oggi invece di vie dicono règne, la più povera e oscura vita umana, quella di un taglialegna o di uno zatteriere, è règne. Mon règne. Ton règne. Quindi, nel francese del Canada, la vita che Sonečka avrebbe trascorso ancora qui, al pari di tutte le altre, sarebbe stata un règne, la fin de son règne. E nessuno potrebbe accusarmi – di iperbole. Grande è il popolo che così chiama – la vita. (p. 179) Continua a leggere
Riverbero
La mia amica Elsa mi ha detto che non ci si può più suicidare dall’Arc de Triomphe per colpa di sua zia. Da quando si era lanciata di sotto negli anni Novanta, l’amministrazione parigina aveva perimetro la cinta del monumento con del filo spinato, lo stesso che si trova sopra i grattacieli di Manhattan ancora in piedi.
Stavamo passeggiando per i boschi quando mi aveva raccontato della sorella di suo padre; dopo quel suicidio diversi membri della sua famiglia avevano deciso di diventare psichiatri per scongiurare la propria paura di impazzire. Quell’aneddoto mi aveva sorpresa: io ed Elsa non parliamo mai della nostra famiglia con passione. Ci siamo conosciute tardi, quando raccontare la propria storia somiglia sempre di più alla riproposizione di una fiaba dell’orrore da cui sono spariti tutti i fantasmi. Continua a leggere
Verità
Come qualsiasi altra volontà, la volontà di verità è la via più rapida verso la falsificazione e la contraffazione di un certo dato di fatto. E mettere per iscritto un certo periodo, un periodo della vita, dell’esistenza, non importa quanto esso sia lontano nel tempo e non importa se sia stato lungo o breve, significa accumulare centinaia, migliaia e milioni di falsificazioni e di contraffazioni, che per chi le descrive e le stende sono invece verità, nient’altro che verità. La memoria si attiene esattamente ai fatti accaduti e si attiene all’esatta cronologia, ma quello che ne vien fuori è qualcosa di completamente diverso da ciò che realmente è accaduto. Ciò che viene descritto mette in luce qualcosa che corrisponde sì alla volontà di verità di colui che lo descrive, ma non corrisponde alla verità, perché la verità è assolutamente incomunicabile. Continua a leggere
Nina all’edicola, 1973
Perde tutto il tempo che può e alla fine fa il giro, passa davanti e si alza sulle punte dei piedi pensandosi ancora piccola per farsi notare dalla giornalaia quando le dice vorrei il giornale però anche un libro, e quella, vagamente annoiata, prende la chiave, esce dal suo rifugio e le dice quale?, in tono sbrigativo. Lei a quel punto ha premeditato e si limita a indicare appoggiando apposta il dito sul vetro per lasciarci l’impronta, anche molto tempo dopo che se ne sarà andata resterà questa piccola traccia organica di lei che ha voluto molto qualcosa proprio in quel punto del mondo, e il timbro concentrico del suo indice è lì a dare testimonianza di un incontro fatale. Continua a leggere
Lepri turchine
Era già il crepuscolo quando giungemmo a casa. Maman si mise al pianoforte, e noi ragazzi prendemmo carta, lapis e colori e ci mettemmo a disegnare intorno alla tavola tonda. Io avevo soltanto il turchino, ma, nonostante ciò, mi accinsi a dipingere una caccia. Dopo aver rappresentato con grande vivezza un ragazzo turchino su di un cavallo turchino e cani turchini, non sapevo se potevo disegnare anche una lepre turchina e scappai nello studio del babbo per domandar consiglio. Il babbo stava leggendo e, alla mia domanda, se «ci sono lepri turchine» senza alzar il capo rispose: «Ci sono, caro mio, ci sono».
Lev Tolstoj, Infanzia, in Romanzi, I, trad. di Enrichetta Carafa D’Adria e Pietro Zveteremich, BUR 2010
Stagno
Su Rivista Studio ho scritto di Stagno di Claire-Louise Bennett (Bompiani, traduzione di Tommaso Pincio).
In altre parole
In altre parole è una newsletter sulla traduzione appena nata (e già bellissima) curata da Chiara Reali e Dafne Calgaro, piena di link, informazioni e ispirazioni interessanti non solo per gli addetti ai lavori, ma per chiunque sia interessato alle parole, la lingua, i libri, le voci.
Nel secondo numero, dedicato a Cime tempestose, c’è un’intervista alla sottoscritta (e tante altre cose). Per iscriversi: https://tinyletter.com/inaltreparole/