Igor dice che la città è di pietra. Non cemento, mattoni e calce, proprio pietra: quarzo, e la puddinga che si regge da sola anche quando è cava, un geode che sotto le case nasconde volte naturali, incrollabili. Igor è il mio maestro di città, e di notte dice che Torino è un libro, scritto nei cornicioni, dentro i portoni, sui fregi dei cortili: basterebbe capirne la lingua. Conosce i passaggi che uniscono le case attraverso le cantine, mi fa vedere uno strano panoptikon all’angolo di una corte di via Verdi, vetri accecati e bracci di caserme che non ci sono più.
Ci perdiamo, al ritorno dalle notti del cinema Roma, costruendo il nostro libro. Deve esserci un segreto fra le pietre, sotto il piano della strada, una buona ragione per aprire un tombino e scendere. Parlano le strade, il reticolo intero delle vie diritte allude a una sostanza diversa, i segni sono dappertutto, su pareti e cornici, dentro le aiuole, sui lampioni, e se cerchi trovi e se fatichi impari, sciogli e raccogli, aggiustando. Alla fine trovi. Igor accumula conoscenze utili e inutili, oro e ciarpame, mi mostra il serpente di Giulia Colbert che si tuffa dentro una boccia di vetro, in un atrio del quadrato romano, e i ritratti di medici maghi scomparsi su uno scalone a pianta quadrata protetto da stipiti draghi, un portone che si apre anche a notte fonda e dentro, nascosta, una chiesa con l’abside e senza ceri. Visitiamo le viscere della terra, e correggendo e provando troviamo molte cose nascoste. C’è un’espressione che si spreca in quegli anni: “un bravo compagno”. E quand’è che uno è un bravo compagno? Lo dici, ma non sai mai bene cosa stai dicendo. La mia definizione l’ho trovata, eccola: un bravo compagno è uno che se il mondo lo progettasse lui ci vivrei bene.
Luca Rastello, Piove all’insù, Bollati Boringhieri 2006