Perde tutto il tempo che può e alla fine fa il giro, passa davanti e si alza sulle punte dei piedi pensandosi ancora piccola per farsi notare dalla giornalaia quando le dice vorrei il giornale però anche un libro, e quella, vagamente annoiata, prende la chiave, esce dal suo rifugio e le dice quale?, in tono sbrigativo. Lei a quel punto ha premeditato e si limita a indicare appoggiando apposta il dito sul vetro per lasciarci l’impronta, anche molto tempo dopo che se ne sarà andata resterà questa piccola traccia organica di lei che ha voluto molto qualcosa proprio in quel punto del mondo, e il timbro concentrico del suo indice è lì a dare testimonianza di un incontro fatale. Sono tutti indistintamente belli, anche quando sono brutti, i libri che sceglie e poi legge stesa sul lettino della spiaggia, il tettuccio calato a nasconderla, perché gli altri se non li vedi non ti vedono, e dunque fuori e intorno non c’è nessuno se non il risucchio delle onde sopra e sotto gli strilli e il ronzio dei motori dei piccoli aeroplani che si portano dietro strisce di messaggi in codice e quel mormorio di umanità ammucchiata di cui non vuole far parte; sono tutti belli, i libri, perché sono suoi, suoi e basta, se li è scelti lei da sola, e pazienza se alcuni non si capiscono ed è chiaro che quelle copertine erano un imbroglio perché non è che dicano solo un’altra cosa, ne dicono anche un’altra e un’altra ancora, e insomma non si poteva sapere prima ma niente comunque è inutile, in quelle circostanze inspiegabili di vite stravaganti o assurde dev’esserci per forza qualcosa di unico e vero, altrimenti non sarebbero diventate quello che sono, cioè libri. E infatti ogni tanto si apre uno squarcio e la verità è lì, il senso, il cuore, proprio davanti a te, e stai per capire, ma poi il tempo scade e resti indietro mentre la verità si allontana come un treno e nemmeno stavolta sei riuscita a balzarci sopra, però quasi, magari la prossima volta sarà quella buona. Per questo sono gli unici libri che li va di rileggere: perché cerca ancora. La mamma è cieca dietro gli occhiali, cieca e sorda, a volte la spinge via da sé senza garbo come si fa coi cuccioli troppo cresciuti, vai a divertirti, vai da qualche parte, cercati degli amici, ma alla fine è così sfinita dallo scontento che la lascia stare lì racchiusa nel buio provvisorio della plastica blu intrecciata a due metri da lei. Il sollievo dell’indifferenza. Il papà tutte le domeniche le lascia qualche foglio di soldi da spendere come vuole, un commercio d’amore che non sa prendere altra forma, e la collezione cresce, e lei si addentra ancora e ancora nelle vite degli altri coi loro bei nomi strani e i loro bei dolori strani. Le persone nei libri non sono quasi mai felici.
Beatrice Masini, Più grande la paura, Marsilio 2019