Quando ci si trova a dover raccontare la vita di qualcuno, quel che è più difficile è riuscire a vagliare la messe di dettagli e microavvenimenti, tutti altrettanto significativi e altrettanto insignificanti. Se si decide di inserire nel racconto soltanto gli eventi importanti come nascite, morti, amori, umiliazioni, crescite, inizi e fini, si rischia di disconoscere la vera sostanza della vita: cioè le cose effimere, i momenti più meschini, quelli troppo modesti per essere ricordati (il treno che arriva alla stazione dove non è venuto nessuno a prenderti; un ragno che si cala da un filo invisibile e atterra sul pavimento giusto in tempo per essere calpestato; un piccione che ti fissa dritto negli occhi; il singhiozzo lieve di qualcuno in coda per il pane prima di te; una parola incomprensibile mormorata da una persona senza nome che per una notte ha dormito nuda al tuo fianco). Non è però possibile redigere un elenco di tutte le volte che il mondo ha solleticato i nostri sensi, con episodi che ci sono scivolati via tra le dita o le ciglia, lasciandoci soli a raccontare la storia della nostra vita a un pubblico interessato soltanto ai fuochi artificiali delle esperienze universali, alle corse in ottovolante dei sentimenti comuni e della somma saggezza.
Aleksandar Hemon, Nowhere Man, Einaudi 2004, trad. di Angela Tranfo