Domani mattina sarò al liceo scientifico Banfi di Vimercate per i Piccoli Maestri, a parlare di Bartleby lo scrivano di Herman Melville.
«La formula I PREFER NOT TO esclude ogni alternativa e inghiotte quel che pretende di conservare non meno di quanto non scarti ogni altra cosa; essa implica che Bartleby cessi di copiare, cioè di riprodurre parole; fa crescere una zona di indeterminazione tale che le parole non si distinguono più, crea il vuoto nel linguaggio. Ma disattiva anche gli atti linguistici con i quali un padrone può comandare, un amico benevolo porre delle domande, una persona fidata promettere. Se Bartleby rifiutasse, potrebbe essere riconosciuto come ribelle o rivoltoso e avere ancora a questo titolo un ruolo sociale. Ma la formula disattiva ogni atto linguistico nello stesso tempo in cui fa di Bartleby un puro escluso a cui nessuna funzione sociale può essere più attribuita. Di questo l’avvocato si accorge con terrore: tutte le sue speranze di riportare Bartleby alla ragione crollano perché riposano su una logica di presupposti, secondo la quale un padrone “si aspetta” di essere obbedito, o un amico benevolo, ascoltato, mentre Bartleby ha inventato una nuova logica, una logica della preferenza, che basta a minare i presupposti del linguaggio. Come osserva Mathieu Lindon, la formula “sconnette” le parole e le cose, ma anche gli atti linguistici e le parole: essa recide il linguaggio da ogni referenza, conformemente alla vocazione assoluta di Bartleby di essere un uomo senza referenze, colui che appare e sparisce senza riferimento né a sé né ad altro.» (Gilles Deleuze, Bartleby ou la formule, 1989)