Gli inefficienti idealisti čechoviani non erano né terroristi, né socialdemocratici, né bolscevichi in erba, e non erano nemmeno annoverabili tra gli innumerevoli membri degli innumerevoli partiti rivoluzionari russi.
Ciò che importa è che il tipico eroe čechoviano è lo sventurato portatore di una verità umana, vaga ma bella, e che non è in grado né di reggere questo peso né di sbarazzarsene. Ciò che vediamo in tutti i racconti di Čechov è un continuo incespicare, ma è l’incespicare di uno che incespica perché sta guardando le stelle. […] Čechov trae un particolare piacere artistico dal fissare tutte le leggere varianti di questo tipo d’intellettuale russo prebellico e prerivoluzionario. Erano uomini che potevano sognare; non governare. Rovinavano la propria vita e quelle degli altri; erano dissennati, futili, deboli, isterici; ma, suggerisce Čechov, felice il paese che può produrre questo tipo d’uomo. Buttavano via occasioni, evitavano di agire, passavano notti insonni a progettare mondi che non avrebbero mai costruito, ma il semplice fatto che questi uomini, così pieni di fervore, di fuoco d’abnegazione, di purezza di spirito, di nobiltà morale, il semplice fatto che questi uomini siano vissuti e probabilmente continuino in qualche modo a vivere in qualche angolo della sordida e spietata Russia di oggi è una promessa di cose migliori per il futuro del mondo.
Vladimir Nabokov, Lezioni di letteratura russa, Garzanti 1987, trad. di Ettore Capriolo
A proposito di mio padre, L. B., uomo čechoviano, 26/12/1945 – 14/6/2011.