Capannelli

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Qual è la frase più terribile, il fedele rintocco dell’orrore negli Ultimi giorni dell’umanità? «Si formano capannelli». Tre parole che ci accompagnano discretamente, nelle didascalie, dalla prima pagina, e precisamente dalla seconda riga, si gonfiano come nubi di veleno per centinaia di pagine, ci colpiscono alla fine, nel loro unico significato finalmente svelato, con la scena IV,29, dove quelle parole vengono dette dal Criticone per designare la calca degli astanti che vogliono farsi fotografare accanto al cadavere di Battisti impiccato, mentre li sovrasta il boia, gioviale. I capannelli non sono una forma di spontaneità democratica. Ben più antica è la loro origine. I capannelli si formano sempre intorno a un cadavere. Quando il cadavere non c’è, quel posto vuoto evoca molti cadaveri che lì sono stati, molti che lì appariranno. È l’ultimo rito che tiene insieme la società civile. Il capannello è un «cristallo di massa». Chi lo forma obbedisce a una vocazione, svela improvvisamente la sua appartenenza a una vastissima setta: quella dei devoti di una potenza ufficialmente inerme, essenzialmente persecutoria: l’Opinione. Si accalcano e si danno gomitate senza accorgersene, convergono tutti verso un punto, che è il cerchio vuoto al centro del capannello. Lì si poteva vedere, un tempo, ci ha ricordato René Girard, il corpo martoriato della vittima del linciaggio originario.

Postfazione di Roberto Calasso a Karl Kraus, Gli ultimi giorni dell’umanità, Adelphi 1980, a cura di Ernesto Braun e Mauro Carpitella